giovedì 26 gennaio 2012

«Non posso, devo studiare»

È meraviglioso l'articolo che Sandro Cappelletto ha scritto su La Stampa tre settimane fa, in occasione del settantesimo compleanno di Maurizio Pollini.
Quel «Devo studiare, il mio mestiere è suonare» riassume un mondo: riassume la connotazione positiva del sacrificio, il suo travestimento, o meglio, la sua vera natura.
Il sacrificio non è qualcosa di negativo, qualcosa che si fa proprio malgrado, una privazione e basta. Il sacrificio non è solo levarsi il pane di bocca, ma sono anche ore, giorni, settimane, anni dalla propria vita, che diventa "sacrificata" di uno sforzo bellissimo!
Dal latino sacrificium ovvero sacer + facere (rendere sacro), il termine ha un'etimologia ben precisa che si sposa benissimo con la vita degli artisti, degli studiosi, di alcuni lavoratori... che rendono sacri emozioni, scoperte, pane...
Non aver ancora finito una cosa, conseguibile a fatica, e pensare già al prossimo durissimo traguardo... Avere il coraggio di non avere amici perché a nessuno piace sentirsi secondi...
«Non posso, devo studiare», è una risposta che sento ripetere, come un ritornello, da dodici (quasi tredici) anni, e che solo chi vive certe persone può capire senza provare un moto di stizza (quasi ira), perché mentre il sacrificio del lavoro, quello manuale, materiale (quello che provoca sudorazione, per intenderci) è davanti agli occhi di tutti, l'altro sacrificio si maschera, perché produce bellezza, e la bellezza offusca la sua essenza. 
Il sacrificio degli artisti per i più non è tale: è una scelta (non è “ppi fforza”) ma se sei un vero artista c'è poco da scegliere... 

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