martedì 26 marzo 2013

Bismillah?

Conoscere persone culturalmente lontanissime da te impone delle riflessioni, anche difficili; a volte fa si che i pregiudizi diventino giudizi non meno impietosi dei primi; spesso ti costringe a usare parametri diversi per non rimanere intrappolato in un:

- Io questi non li capisco proprio.
 
Il senso dell'educazione, il rispetto per gli altri, e anche quello per l'intorno, gli accostamenti di sapore e colore... non puoi guardare ognuno con la tua prospettiva perché altrimenti fai l'errore di chi giudica l'arte concettuale con gli stessi metri con cui si giudica l'arte figurativa.
Poi un pomeriggio, che non avevi neanche voglia di trascorrere con qualcuno, la tua amica musulmana, che cucina tanto bene, che dal tuo punto di vista è conservatrice e integralista, che ha una personalità molto forte, che fino ad ora ti ha raccontato che nella sua vita lei ha scelto ogni cosa: di studiare, di non sposarsi, di venire in America, e di condurre con vero piacere una vita assolutamente ligia ad ogni dovere che il Corano dolcemente impone... questa tua amica ti canta una vecchia canzone egiziana, con gli occhi bassi, e tu le dici che il modo in cui la sua voce è andata su e giù, producendo suoni insoliti per un orecchio europeo, ti è piaciuto molto, e le chiedi chi altro l'ha sentita cantare oltre te, e lei ti risponde:

- Nessuno. Il mio amore.

Così inizia un racconto triste, per quanto lei si sforzi di sdrammatizzare, una storia letteraria, di cui lei e il suo amore sono protagonisti. Una storia che inizia sei anni prima, in un reparto di un ospedale di una grossa città araba, dove lei orgogliosamente lavora. Un ragazzo ha avuto un incidente che gli ha causato grossi problemi di memoria, e il fratello minore lo accompagna alle sedute con la psicoterapeuta: lei.

Mesi di incontri formali e sguardi, poi le confessioni di reciproco amore e poi l'amara scoperta di appartenere a due opposte fazioni religiose, interne all'Islam, ma comunque opposte. Da lì la decisione di non vedersi, di evitarsi, perché laggiù non si scherza con queste cose, non ci sono proteste femministe, non c'è primavera rivoluzionaria, non c'è contro-idea, e non c'è nemmeno la "fuitina".

Passa del tempo, ma i due proprio non ce la fanno stare lontani, ed ogni scusa è buona per vedersi, nascosti da un ufficio, da una stanza d'ospedale, o dal favore che solo le grandi città ti possono fare.

In tutto questo, lui - che è anche il "capofamiglia" perché il padre ha contratto le consuete (almeno per i ricchi) seconde nozze abbandonando la prima moglie, e il fratello non può neanche badare a se stesso - è costretto a fidanzarsi, ma non ce la fa a stare con qualcuno che non sia lei, così si rifiuta, finché può, ma poi il problema si ripropone ancora e ancora, e a un certo punto il ragazzo arriva perfino a retrocedere da un contratto matrimoniale che aveva già firmato. Nel frattempo lei, che è colei su cui la sua intera famiglia ripone ogni tipo di aspettativa, perché bella, intelligente, istruita e timorata di Dio, supplica la madre di poter stare con l'uomo che ama, ma la madre le dice che il no che è costretta a dirle non è nemmeno un suo no, ma è un no più grande e altisonante, è il no sociale che tutto il gruppo impone, che se trasgredito può dare adito a conseguenze incredibilmente pesanti.

La mia amica ottiene la borsa di studio che l'ha portata fin qui per prendere il suo dottorato e il suo amore non può tirarsi ancora indietro di fronte a nozze decise per l'ennesima volta per lui. I due si dicono addio, dopo sei anni di parole abbracci e baci, lui si sposa e lei parte.



La mia amica è di fronte a me e non ha più voce per raccontarmi la sua sofferenza quando una suoneria dedicata del suo iPhone ricorda a me che siamo nel 2013 e a lei che è l'ora della preghiera del crepuscolo, così va via, e mi lascia con lacrime che non voglio piangere e domande che non voglio chiedere.



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